Geisha – Primavera (2008)

Di questa donna impallidita da un trucco pesante che ne trasforma il volto in maschera non si sa nulla di vero: è immutabile nel suo aspetto esteriore, è totalmente artificiosa perché istruita a mostrare a comando emozioni, opinioni, affetti. L’intimità resta misteriosa, la donna mostra con consumata naturalezza apertura, bontà, cortesia, delicatezza, discrezione, facilità, gusto, spirito. Ha scelto di esser schiava di se stessa; se ne sta silenziosa come in ascolto di un interlocutore al quale farà aderire il suo animo. Mi servo dei colori tenui, teneri, dolci, delicati per esprimere quest’atmosfera di semplicità, di grazia, di buon gusto. Anche il fondo è chiaro, consumato, rarefatto. Provo rabbia e pietà nei confronti di questa donna che si nega, graffio il suo volto, lo macchio, rovino i muri della stanza in cui sta rinchiusa.

Cerco di esprimere la sua fragilità attraverso la povertà dei segni preparatori, con il movimento dei punti d’interesse della composizione e con la materia pittorica, che sembra ridotta al niente, consumata dall’esposizione delle tele al tempo atmosferico, in realtà calibratissima. Ci piove sopra, e poi il sole: secca i colori troppo rapidamente, screpola, sbiadisce. Ogni tanto un cenno del rosso porpora brillante dell’azalea kirishima, la regina del giardino giapponese, sta a sottolineare la bellezza effimera di questo “artificio naturale”, ma ricorda anche il sangue, il fuoco; è un colore sacro, quasi sempre presente.Il colore del sacrificio (Evidente, Rimorso, Palpitazione, Ottobre). C’è il viola, la deferenza. Il giallo, la gioia. Ma anche il verde, l’azzurro, il marrone, colori della natura.

La donna sembra presente, partecipe, ma potrebbe essere anche riflessa in un altrove immaginato, sognato, o vissuto tanto tempo prima (Distanza).

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